La pazza gioia
Questo film del 2016 ad opera di Paolo Virzì, racconta di un percorso di evasione e scoperta di due protagoniste, Beatrice e Donatella, ospiti in una comunità terapeutica per donne.
Le due protagoniste sono due opposti lungo uno stesso continuum, una, Donatella, con la fragilità e la tristezza che la accompagnano sempre, l’altra, Beatrice, inarrestabile e logorroica con tratti della mitomania.
Andando oltre le riflessioni sui lati tecnici di storia, scene e attori, il messaggio che accompagna lo spettatore durante la visione del film è quello della possibilità e della speranza, riscontrabili nell’evoluzione della storia.
Beatrice, che fino all’arrivo di Donatella era probabilmente messa un po’ in disparte per via della sua personalità ingombrante, riesce finalmente a legare con un’altra persona, con la possibilità di entrare in una relazione di compensazione reciproca che gioverà a entrambe pur nelle loro profonde diversità. Si sentiranno più vicine nel confronto delle loro sofferenze, quel senso di solitudine fortissimo e manifestato in modi così opposti, una lo manifesta con un frequente pianto, l’altra con una marcata logorrea. La forza del dolore provato, il senso di inadeguatezza, la solitudine, il fallimento, il tradimento da chi doveva proteggere, sono alcuni dei temi che emergono durante il commovente confronto tra le due.
Quello che personalmente mi ha colpito di più è stata la presentazione di una realtà che spesso è ignorata da molti, l’ambiente della salute mentale, in particolare delle comunità terapeutiche. Certo nella realtà tutta questa “morbidezza” nelle regole all’interno della struttura e in particolare nei confronti dei pazienti soggetti a restrizioni giudiziarie, sono decisamente più dure, ma per i pazienti che le abitano, spesso è l’unica possibilità di potersi migliorare, di curarsi. La comunità è presentata come un luogo in cui potersi redimere, dove si fanno progetti ad personam, dove c’è accoglienza senza giudizio e quando serve, la forza, non viene presentato come un luogo perfetto, ma come un luogo dove poter trovare anche persone che spesso vanno anche ben oltre ciò che il loro contratto richiede. Un luogo fatto di persone, e non solo di operatori e pazienti.
Nell’ambito della salute mentale capita spesso di riscontrare delle relazioni e delle dinamiche familiari che sono più lesive che positive. E spesso l’alternativa migliore è un allontanamento dalla famiglia per poter conoscere delle nuove modalità di approccio, per poter trovare finalmente il proprio equilibrio. Quello che gli operatori di questo ambito si augurano è che poi i pazienti possano trovare il modo di camminare sulle proprie gambe, ed è sempre una grande soddisfazione quando succede. Spesso l’idea di cambiare o provare nuove cose spaventa.. ma bisogna sempre ricordare che :
“Non possiamo pretendere che le cose cambino se continuiamo a fare le stesse cose”