Quali sono gli effetti psicologici della quarantena?
Questi giorni di isolamento sociale sono sempre più difficili. Si allunga la prova a cui dobbiamo tutti far fronte, anche i più resistenti, che avevano preso al meglio questa “forzatura” iniziano a provare disagio per queste giornate che passano tutte uguali. Quali possono essere gli effetti psicologici di questa quarantena?
Vediamoli qui sintetizzati:
? Un cambio di stile di vita, e conseguente perdita dei propri ritmi e punti di riferimento, quindi i giorni scorrono e sembrano sempre uguali, influenzando la nostra memoria episodica.
? La paura, emozione che ci mette a contatto con una parte di noi che cerchiamo di evitare quando più possibile: la nostra vulnerabilità.
? La rabbia, altra emozione fondamentale, quando percepiamo una minaccia per noi o per i nostri cari.. e può andare dalla minaccia di un possibile rischio di contagio o la minaccia della limitazione dei propri spazi vitali, spostamenti, libertà di agire. Aumentano il senso di frustrazione e di aggressività.
? Bombardamento di informazioni, anche poco chiare, vaghe, contraddittorie da parte degli eventuali media, o dai nostri contatti social. Ci si sente come in balia del troppo vento.
? Stress, ovvero la risposta del nostro organismo, con conseguente innalzamento dei livelli di cortisolo e una maggior propensione a vivere stati d’ansia e di insonnia.
? L’isolamento sociale è difficile, soprattutto perché sentito come costrizione e obbligo. Iniziare a elaborarlo come un gesto di cura e protezione verso sé stessi e gli altri può essere il primo passo per iniziare a gestirlo con minor pressione.
? Continuare a mantenere o ricreare quanto più è possibile una routine regolare: in cui devono trovare posto le necessarie ore per il sonno, l’alimentazione, l’attività fisica (yoga o esercizi fisici da fare in casa), oltre che continuare a sentire familiari e amici, usando tutti gli strumenti che la tecnologia oggi ci permette.
Questo articolo non vuole essere esaustivo, per una lettura approfondita rimando all’articolo pubblicato su The Lancet