Questi giorni di isolamento sociale sono sempre più difficili. Si allunga la prova a cui dobbiamo tutti far fronte, anche i più resistenti, che avevano preso al meglio questa “forzatura” iniziano a provare disagio per queste giornate che passano tutte uguali. Quali possono essere gli effetti psicologici di questa quarantena?
Vediamoli qui sintetizzati:
? Un cambio di stile di vita, e conseguente perdita dei propri ritmi e punti di riferimento, quindi i giorni scorrono e sembrano sempre uguali, influenzando la nostra memoria episodica. ? La paura, emozione che ci mette a contatto con una parte di noi che cerchiamo di evitare quando più possibile: la nostra vulnerabilità. ? La rabbia, altra emozione fondamentale, quando percepiamo una minaccia per noi o per i nostri cari.. e può andare dalla minaccia di un possibile rischio di contagio o la minaccia della limitazione dei propri spazi vitali, spostamenti, libertà di agire. Aumentano il senso di frustrazione e di aggressività. ? Bombardamento di informazioni, anche poco chiare, vaghe, contraddittorie da parte degli eventuali media, o dai nostri contatti social. Ci si sente come in balia del troppo vento. ? Stress, ovvero la risposta del nostro organismo, con conseguente innalzamento dei livelli di cortisolo e una maggior propensione a vivere stati d’ansia e di insonnia.
? L’isolamento sociale è difficile, soprattutto perché sentito come costrizione e obbligo. Iniziare a elaborarlo come un gesto di cura e protezione verso sé stessi e gli altri può essere il primo passo per iniziare a gestirlo con minor pressione. ? Continuare a mantenere o ricreare quanto più è possibile una routine regolare: in cui devono trovare posto le necessarie ore per il sonno, l’alimentazione, l’attività fisica (yoga o esercizi fisici da fare in casa), oltre che continuare a sentire familiari e amici, usando tutti gli strumenti che la tecnologia oggi ci permette.
Questo articolo non vuole essere esaustivo, per una lettura approfondita rimando all’articolo pubblicato su The Lancet
Oggi introduco un argomento che mi è stato ispirato da Anna Maria Anatella, mia compagna in alcuni degli eventi organizzati in passato e lo sarà ancora in un evento che stiamo preparando sempre in occasione della Settimana del cervello.
L’argomento in questione è la Psicologia positiva.
Quando si parla di psicologia positiva ci si riferisce a una determinata branca della psicologia, in cui l’attenzione è posta al benessere personale, ovvero lo stato che coinvolge tutti gli aspetti dell’essere umano, e caratterizza la qualità della vita di ogni singola persona all’interno di una comunità di persone.
Le ricerche su questo campo iniziano ufficialmente intorno agli anni 90, anche se gli interrogativi sul ben-essere degli individui sono sempre stati presenti in diverse discipline come per esempio le scienze umanistiche e la filosofia. Se la psicologia si è occupata prevalentemente di comprendere tutti questi aspetti legati alla patologia degli individui, con Seligman (1994) nasce una nuova direzione: comprendere la positività e il benessere della persona in quanto tale, non più solo la sua negatività e malattia. Questo nuovo approccio viene ispirato dalle ricerche sull’”impotenza appresa”, ovvero “quell’abitudine di interpretare sempre in maniera negativa ciò che succede, al punto che pensiamo di non essere abbastanza capaci di affrontare la maggior parte delle cose che accadono nella nostra vita e non tentiamo pertanto nemmeno di affrontarle”. Se questa abitudine segue una linea di stampo pessimistico, è possibile ribaltarla sul versante positivo? Ovvero andare a costruire una nuova abitudine e modalità di ragionamento che seguano la via della positività?
Seligman parla di salute positiva e benessere, focalizzandosi non tanto all’assenza di malattia, (così come definito anche dal OMS, benessere come “stato di completo benessere fisico, psichico e sociale e non semplice assenza di malattia“) ma ad una condizione che sia caratterizzata dal saper provare emozioni positive, dall’essere in grado di relazionarsi in modo positivo con gli altri e dall’avere la volontà e motivazione finalizzati al raggiungimento di obiettivi positivi (Seligman, 2008). Grazie a questo nuovo orientamento viene evidenziato maggiormente il ruolo delle risorse positive e delle potenzialità dell’individuo e non più solo alle sue mancanze o “difetti”. Tra i concetti più studiati all’interno della psicologia positiva troviamo:
L’accoglienza di sé stessi, con una maggior comprensione delle proprie caratteristiche, siano esse positive o negative, con un incremento dell’auto-accettazione e dalla costruzione di nuovi significati riguardo gli aspetti più significativi della propria vita
Crescita Personale intesa come motivazione alla scoperta delle modalità espressive di sé, con l’attenzione a rimanere ben predisposti alle esperienze e avvenimenti, in quanto ci possono essere sempre aspetti nuovi da integrare e da cui imparare;
Significato personale sulla propria vita, ovvero comprendere il senso che acquistano le scelte di ogni giorno e le emozioni che le guidano;
Migliori relazioni con gli altri, ovvero instaurare e sviluppare legami che siano improntati alla scoperta dell’altro, ad un aumento della sintonizzazione e di atteggiamenti empatici, cooperativi e scongiurando la sfiducia reciproca.
Autonomia intesa come percorso di auto-determinazione fondato sulla conoscenza e l’abilità di gestire le pressioni e i condizionamenti sociali, e di raggiungere i propri obiettivi prefissati (o di cambiarli se non sono più espressione di sé);
Responsabilità personale, basata sulla consapevolezza delle proprie capacità di cambiare l’ambiente circostante per creare le condizioni utili alla soddisfazione dei propri obiettivi;
Fondamentalmente si parla di creare una nuova educazione mentale, allenandosi a cambiare i target della attenzione selettiva, dove, se prima si andava a vedere tutti quei dettagli che ci confermavano la visione negativa, ora si saprà trovare anche ciò che di buono può essere ricavato e che può essere utile per migliorare la propria esistenza.
Un vero e proprio allenamento alla felicità! Ma la felicità può essere solo quella legata al piacere? Ebbene no! In realtà la psicologia positiva segue una prospettiva detta Eudaimonica, in cui ci focalizza sull’analisi di quei fattori che aiutano lo sviluppo e la realizzazione delle potenzialità individuali. La felicità di tipo eudamonico è maggiormente legata a un processo di interazione, integrazione e reciproca influenza tra benessere individuale e collettivo, tale per cui la felicità individuale si realizza all’interno della società.
Come si fa questo “allenamento”? Con degli esercizi, proprio come nello sport!
Con me è possibile iniziare un percorso in cui potremo creare una “scheda personale” focalizzandoci sugli aspetti che interessano di più!
Nel mentre ti lascio una piccola tips:
Prendi la tua agenda (o un foglio da tenere in vista, o ancora usa il calendario del cellulare) e in una pagina segna tutti i giorni del mese. Ogni giorno segna una cosa per cui essere riconoscente. Scrivimi per sapere come è andata! =)
Perché il nostro cervello necessita di almeno 8 abbracci al giorno?
L’abbraccio è un modo intimo e intenso di esprimere le emozioni ed è proprio attraverso di esso che si possono condividere la gioia o il dolore. Abbracciando siamo in grado di dire a una persona che può contare sulla nostra presenza o che comprendiamo il suo stato emotivo senza ricorrere alle parole.
Abbracciare ci permette di connetterci con gli altri ed esprimere empaticamente ciò che sentiamo, offrendo un effetto positivo sull’equilibrio emotivo e sulla salute cerebrale.
Sempre più spesso, le neuroscienze si stanno interessando agli effetti degli abbracci sul cervello.In un studio condotto presso l’Advanced Telecommunications Research Institute International i ricercatori hanno verificato che un abbraccio al termine di una conversazione della durata di circa 15 minuti porta ad una significativa riduzione del livello di cortisolo nel sangue, l’ormone dello stress che causa tanti danni.
L’evento è organizzato dalla dott.ssa Valeria Bernardino in collaborazione con la dott.ssa Anna Maria Anatella di SeminareL’Amore in occasione della Settimana del Cervellosi propone di offrire una visione di tipo teorico, dove si discuterà della letteratura scientifica di riferimento, e a seguire una parte più pratico-esperenziale, dove i partecipanti verranno accompagnati nell’esperienza dell’abbraccio empatico.
Decidere di cercare un aiuto esterno per i propri disagi è sempre un momento difficile, può a volte lasciare in bocca quel senso di amarezza di non riuscire a essere “abbastanza”.
Nella realtà questo senso si amarezza è in grandissima parte portato dalle influenze culturali, infatti proprio in Italia non c’è una grande cultura della salute mentale. Per la salute di un arto, di un organo siamo disposti a fare sacrifici, ma pensare alla salute del nostro cervello, l’organo più importante, che racchiude ciò che siamo in toto, e quindi prenderci cura della nostra mente, è messo quasi sempre in secondo piano.
Ad aiutare questo aspetto incorrono anche i numerosi stereotipi (di cui trovate un elenco nel sito dell’Ordine Psicologi Lazio, qui il link) e pregiudizi legati alla figura dello psicologo e dello psicoterapeuta, considerati come coloro che hanno a che fare con i “matti”, e l’idea di poter essere associati a questa fetta di popolazione risulta repellente.
Il nostro benessere è intrinsecamente legato alla nostra salute mentale, e andare dallo Psicologo non significa assolutamente essere “svitati” o “matti” ma, al contrario, significa saper prendersi cura della propria mente, prendersi cura di Sè.
E’ importante considerare il fatto che molte delle nostre idee sono dovute alla nostra cultura, che le cose che noi vediamo sono solo un punto di vista, di prospettiva.
Spostandoci in altri paesi vediamo come la salute mentale è messa al primo posto, (a Buenos Aires più della metà della popolazione va dallo psicologo) o per esempio in Francia il 33% della popolazione si è rivolta a uno psicologo (qui). Lo psicologo è da considerare come quel porto sicuro a cui affidare la nostra ancora, per poterci muovere con maggiore sicurezza nel mondo. Un po’ come andare a fare un check up di controllo!
In un recente articolo (qui) è stata riportata una metafora che affianca lo psicologo al contagocce, che non si sostituisce alla persone nel conteggio ma aiuta a dosare e separare le gocce nel modo più utile possibile!
Di seguito elenco alcune circostanze in cui, ci si può rivolgere ad uno psicologo:
per ristabilire equilibrio e il livello più idoneo di umore e di autostima,
per ritrovare serenità e felicità,
per favorire una crescita interiore personale,
per delle esigenze di comprensione e/o di orientamento,
per raggiungere una maggiore o migliore consapevolezza di sé, degli altri e delle proprie sfere personali (che siano riguardo la famiglia, le relazioni sentimentali, sociale, o lavorativa, oppure la vita scolastica),
per una crisi momentanea,
per dipanare dinamiche e difficoltà affettive, sociali, familiari, relazionali, scolastiche, lavorative,
per uscire da situazioni di stallo e/o blocco,
in caso di lutti,
quando notiamo alterazioni del comportamento (ad esempio sbalzi costanti e ingiustificati dell’umore, alterazioni nella nostra condotta che generano problemi o isolamento ingiustificato),
A noi di Minds Up non sembrano motivazioni per cui uno possa essere definibile come “matto”, e a voi?